Thursday, September 27, 2012

UN CUORE PER ABISSO - Prima parte

By Mattia Zoanni

I

“Ah, donne!” sospirò Dumnhall beato, lasciando cadere le parole come quando ci si libera di una pisciata. “Per Brastias! Se c'è una cosa che mi manca di Visegrad, mio caro Brogan, sono proprio le donne.”
Brogan si lasciò sfuggire un sorriso beffardo. “Siamo venuti in città per acquisti, lo sai. Concentriamoci sulla sola cosa che conta... ” Le due voci si sovrapposero.
“Le armi!”
“Le donne!”
Si fissarono per un istante: Dumnhall, il mercenario esperto che aveva radunato a sé i migliori guerrieri della tundra, e Brogan, capace di forgiare una spada seconda per durezza solo alla sua testardaggine.  
Il fabbro dei Bluadawulf scosse il capo. “Dimentichi perché siamo venuti.” Spalancò le braccia verso quello che il panorama aveva da offrire, e un Dumnhall molto meno eccitato abbracciò con lo sguardo le bancarelle che avrebbero sostituito le risatine delle sue donne al tintinnio del metallo appena forgiato e allo sfrigolio di quello ancora incandescente.
Dumnhall alzò le mani in segno di resa. “Lo so, lo so: la fiera! Me lo ripeti da quando avevi ancora i capelli.”
Brogan lo folgorò con lo sguardo.
“D'accordo” sbuffò Dumnhall. “Vediamo le armi.”
“Su, su, non è poi la fine del mondo. Guarda questo.” Le dita callose del fabbro impugnarono un martello da guerra. “Foggia aggressiva, stazza possente. Mi piace.”
“Non esiste metallo migliore nella tundra, mio signore” annuì compiaciuto il mercante.
“Hai sentito, Dumnhall? Mio signore!” Gli occhi di Brogan luccicarono, e il capo dei Bluadawulf si preparò all'elenco di pregi e dettagli più lungo e inimmaginabile di tutti i tempi. Tirò indietro la testa, il pensiero fisso alla sua casa di piaceri più amata, nel quartiere degli svaghi.
Quando tornò alla realtà, Brogan e il mercante stavano ancora discutendo. Gli occhi di Dumnhall incontrarono quelli azzurri di Bleda, il ragazzo salvato dai lupi. Uno scricciolo biondo, col muso lungo e di poche parole. Si era dimenticato di lui: non aveva aperto bocca dall'inizio del viaggio.
“Bleda!” lo chiamò. “Scommetto che non vedi l'ora di assaporare il calore di una donna!”
Il giovane Lupo di sangue scrollò le spalle.
Dumnhall incrociò le braccia, perplesso. “Per gli dèi, ma cosa avete tutti?”
L'eco di passi veloci sulla pietra attirò il suo interesse. Si voltò, la fronte ancora aggrottata, ma prima di capire cosa stesse accadendo qualcuno lo urtò con violenza. Le dita di Dumnhall agguantarono il braccio viscido del fuggitivo.
“Dove corri?!”
Pensava fosse un ladro, ma quando inquadrò la faccia imporporata e i rotoli di grasso che straboccavano dalla sua tunica, si rese conto che non poteva esserci nulla di più lontano dal vero. Si trattava di un individuo bizzarro. Aveva i capelli ricci e neri, insoliti  per la gente di Visegrad; vestiva colori sgargianti e portava anelli d'oro e monili ovunque  potessero dare mostra di opulenza.
L'ometto goffo cadde sulle ginocchia. Piagnucolava forte e sembrava non volersi più staccare dal Bluadawulf. “Salvami!” lo supplicò tra un respiro e l'altro. Un dito tozzo si protese con un gesto fiacco verso il punto dal quale era venuto. “Giganti... rossi... barbuti... mi inseguono.”
Brogan, che aveva fiuto per la battaglia quasi quanto per l'acciaio, si girò con il martello ancora nel pugno. “Giganti rossi e barbuti?”
L'ometto goffo annuì a più riprese. Sbuffava dalle narici come un cavallo.
Fu Bleda a scorgerli per primo: due guerrieri in piastre di ferro e lame sguainate si facevano largo tra la folla. Dumnhall notò che il ragazzo metteva mano alle spade, eccitato, e lo trattenne. “Tu bada al tracagnotto” disse mentre si scrollava di dosso l'uomo in lacrime come una merda sulla punta dello stivale.
“Ma...”
Dumnhall fece un passo avanti, mano sul pomolo del coltello appeso alla cintura. “Niente ma.”
“Escremento di capra!” gridò uno dei due sconosciuti al fuggitivo. “Dacci quello che hai rubato!”
“Mi avete imbrogliato!” ribatté la vittima indietreggiando a carponi sulla strada, davanti agli sguardi della folla e di un Bleda riluttante a fargli da guardia del corpo.
“E che cosa avrebbe preso, di grazia?” domandò Dumnhall al barbaro con un sorriso gentile.
I due giganti non gli risposero. Quello che aveva parlato poco prima perse la pazienza. “Spostati!” ringhiò, e protese le dita per afferrare Dumnhall.
Il capo-clan dei Lupi di sangue percepì una ventata improvvisa e chiuse gli occhi di istinto. Quando li riaprì, l'aggressore era a terra, la bocca spalancata alla disperata ricerca di aria e il pettorale della corazza piegato verso l'interno.
“Brogan!” finse di rimproverarlo.
“Alla dannazione il 'di grazia' e i modi da nobilotto” rispose lui. “Mi fanno venire la nausea. Questo qua capisce di più il fracasso del ferro, te lo dico io.”
L'altro aggressore scattò in avanti, ma Dumnhall intercettò la traiettoria della spada e lo afferrò per il polso, mentre con la mano destra sfoderava il pugnale dal fodero. Meno, molto meno del tempo di un rutto, e la lama ricurva raschiava già i peli rossi sul gargarozzo dello straniero.
Dumnhall scosse il capo. “Ah. Molli la spada, sollevi l'orsacchiotto da terra e ve ne andate.”
Il barbaro accettò il suo consiglio. Soltanto quando scomparvero oltre la folla incuriosita, le bancarelle e gli stretti edifici di Visegrad, il tracagnotto parve acquistare un po' di fiducia e si aggrappò ai vestiti di Bleda per tirarsi su.
Dumnhall non lo aveva mai visto tanto disgustato da qualcuno, così quel fagotto barcollante finì col fargli simpatia. Mise via la lama, divertito.
“Per Brastias! Si può sapere che hai combinato?”
“Ma niente!” si giustificò subito lui, saltellando sulle punte dei piedi in un ridicolo tentativo di sistemarsi la tunica. I Bluadawulf lo fissavano. All'improvviso l'ometto goffo sobbalzò. Sfoggiando il suo sorriso migliore, sollevò l'indice al cielo e disse: “Ho una proposta!”

Continua... 

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